Monete di Trieste
Il pieno potere temporale passò definitivamente al comune nel 1295, dopo la prima lunga serie di scontri di Trieste con Venezia (1283-91), che allora dominava i centri costieri dell’Istria. In questa e nelle successive guerre contro i veneziani, Trieste era normalmente alleata dei patriarchi di Aquileia e dei conti di Gorizia, ma la città se la cavò male in questi scontri. Riuscì a mantenere la sua autonomia giuridica ma di fatto perse praticamente ogni capacità di condurre una politica estera e commerciale indipendente da quella di Venezia.
Quando il futuro duca d’Austria, Rodolfo IV d’Asburgo (1358–65), ottenne l’Istria dal conte Alberto di Gorizia (1342–74) nel 1353, Trieste dovette affrontare un ulteriore rischio a causa di questa potentissima famiglia. Gli abitanti della città, tuttavia, vedevano evidentemente con minore antipatia la prospettiva della sottomissione agli Asburgo che l’occupazione da parte dei Veneziani. Nel 1369, durante l’ultima delle guerre contro Venezia, il consiglio di Trieste offrì la signoria sulla città al duca Leopoldo III d’Austria (1365–79/86). Gli austriaci non riuscirono però a respingere i veneziani e nello stesso anno Trieste si arrese al suo vecchio nemico. Il dominio di Venezia durò fino al 1380 quando l’esercito del patriarca Marquardo d’Aquileia (1365-1381) occupò il territorio e la città passò sotto il controllo del patriarcato. Nel 1382 i cittadini triestini offrirono nuovamente se stessi e la loro città a Leopoldo III, che accettò il dono e iniziò un dominio destinato a durare fino al 1918 quando Trieste passò definitivamente all’Italia dopo la prima guerra mondiale.
Zecca usata dal comune 1254 – 1257
Nella città di Trieste il diritto di Zecca apparteneva ai Vescovi che lo esercitarono dal 1195 al 1320 con l’emissione di 21 tipi principali.
Il Vescovo Volrico (1233 – 1254) si trovò con le finanze disastrate a causa delle ingenti spese sostenute per appoggiare il Patriarca di Aquileia, Gregorio di Montelongo (1221 – 1269), nella guerra contro i Conti di Gorizia. Un anno prima di morire, Volrico cedette al Comune di Trieste, per 800 marchi di denari triestini o aquileiesi, vari possedimenti e diritti, dando in pegno la facoltà di battere moneta.
Scaduta l’obbligazione, il Comune si appropriò del pegno avuto in garanzia e coniò un solo tipo di moneta: il denaro!
Il volume di emissione dovette essere rilevante al punto che Giulio Bernardi ha censito 15 conì d’incudine e 17 di martello.
Entro doppio cerchio perlinato San Giusto nimbato stante tiene con la sinistra il libro poggiato sul petto e con la destra sorregge la palma, simbolo del martirio subito al tempo di Diocleziano. Ai lati due torri con cupole e nel campo a destra stella a sei punte. Nel giro l’iscrizione . SANTVS IVSTVS.
Entro doppio cerchio perlinato l’iscrizione + CIVITAS TERGESTVM. Nel campo edificio merlato con al centro torre sormontata da cupola.
Questo esemplare proviene dai conì contraddistinti dal Bernardi con i numeri T16 e T15
Nel 1257 il successore di Volrico, Arlongo (1254 – 1282), con l’atto di investitura, riuscì a riacquistare di diritto di Zecca.
Bibliografia: Giulio Bernardi – “Il Duecento a Trieste: le monete” – Trieste 1995, 189 pagine riccamente illustrate
La moneta di Latisana
La città di Latisana, già florido scalo fluviale dei Patriarchi di Aquileia e dal 1180 di Grado, era infeudata ai Conti di Gorizia, i quali possedevano anche la città di Lienz, di cui si conoscono denari coevi con la dicitura DELI VNZE e LIVNZALIS.
Si ipotizza che i denari di Latisana e Lienz siano stati emessi per imitare i denari aquileiensi e triestini, al fine di trarre vantaggio dalla loro ampia circolazione.
Latisana nella cartografia medioevale è denominata anche Tisana o semplicemente Porto, in quanto ubicata al centro di una zona ricca di canali navigabili su cui gravitava anche Portus Naonis (Pordenone).
L’epoca della coniazione in ambo le zecche dovrebbe cadere nel tempo immediatamente successivo al 1195, in cui il corrispondente tipo 2quileiese fu creato affrancando la monetazione del Patriarcato
dall’imitazione dei denari frisancensi.
L’appartenenza di Latisana ai conti di Gorizia in tale epoca non è però ancora del tutto pacifica e proprio il parallelismo tra la moneta di Latisana e quella di Lienz costituisce un argomento importante per
dissipare i dubbi. Ancora pochi anni prima Latisana appariva infatti appartenere al patriarca di Grado, sotto la cui giurisdizione la pieve della Tisana con le cappelle e i quartesi inerenti cadeva nell’accordo che per opera di papa Alessandro III il 24 luglio 1180 pose fine alle vertenze tra i prelati di Aquileia e di Grado (Kandler, codice diplomatico istriano, da Cappelletti, Chiese italiche).
Tale appartenenza a Grado però riguarda la sfera spirituale ed il clero perché sappiamo che nn dal 3 ottobre 1102 i Conti di Gorizia avevano acquistato dai coniugi longobardi Egino ed Ilmingarda i loro
beni in Friuli, tra cui case, corti, vigne, campi, prati, pascoli, selve, colline, piantagioni, ruscelli, rupi, mulini, peschiere, riserve di caccia con tutti i diritti ed usufrutti connessi, a Latisana e Castions. (Codice diplomatico istriano, da archivio domestico dei Conti Portis, carte Guerra). Non risulta che il porto di Latisana fosse, durante il XII secolo, oggetto di controversia territoriale, però Latisana viene
espressamente nominata tra le proprietà del conte di Gorizia in un documento del 1226.
Prima del denaro di Latisana sembra che ci sia già stata attività monetaria da parte dei conti di Gorizia. Per Lienz esiste infatti un’altra moneta, della quale non conosco altri esemplari che quello descritto da Luschin, che lo possedeva (1). La sua iscrizione è DELI VNZE (ng. 14) e, per lo stile, appare essere un tipo di passaggio tra un’imitazione dei denari di Gotifredo del 1194 (ng. 15) e le monete LIVNZ ALIS sopra considerate. L’epoca dell’inizio delle monete dei goriziani non si dovrebbe comunque far risalire molto addietro perché nel 1202, stabilendo quali diritti i conti di Gorizia Mainardo e Engelberto avessero ereditato dal Padre Engelberto, si testimoniava che, alla morte del patriarca Ulrich von Treffen (1182) il conte di Gorizia « monetam non habebat ».
Dall’esame dettagliato dei pochi esemplari che sono giunti a noi, la preziosa moneta di Latisana esce serbando intatto il suo fascino e il suo mistero che forse, in futuro, fortunati ritrovamenti di documenti sugli inizi della monetazione friulana potranno contribuire a diradare.
Una conclusione si può però sin d’ora trarre, ed è di somma importanza: l’esistenza di numerose varianti permette di credere che l’emissione delle monete di Latisana non fosse un fatto sporadico, clandestino o di esperimento. Al contrario si può affermare che vennero coniate molte monete, per alimentare fiorenti commerci.
Bibliografia: Giulio Bernardi – “Il denaro di Latisana” in Rivista Italiana di Numismatica, 1977
Le monete di Trieste e di Latisana