Le monete di Friesach medioevale
La storia delle monete frisacensi inizia nel 1045, quando l’Arcivescovo di Salisburgo (Baldovino 1041/1060) ricevette in eredità dalla contessa Hemma von Friesach-Zeltschach la città di Friesach, situata nel nord est della Carinzia, con il suo piccolo territorio. Fin dal 1015 Hemma e suo marito , il Conte Wilhelm von Sanngau avevano ottenuto dall’Imperatore Enrico II°, il diritto di battere moneta a Friesach. Alla morte di Hemma gli Arcivescovi ricevettero dunque in dono anche questo diritto che però non esercitarono fino all’apertura della zecca nel 1130.
Nel 1130 a Friesach fu aperta una zecca che permise di monetizzare rapidamente la notevole quantità d’argento estratto dalle vicine miniere particolarmente produttive. Lo scopo per i proprietari era quello di produrre una gran quantità di monete in quanto per loro esse rappresentavano solo una merce; di conseguenza il conio era primitivo ed essenziale. I denari frisacensi furono quindi facilmente ed immediatamente copiati da tutti i paesi confinanti, non appena il largo credito acquisito dalla loro bontà li fecero apprezzare al di sopra, sia pur di poco, del loro valore come metallo.

L’esportazione di derrate alimentari, coltivate nella fertile e ubertosa pianura friulana, verso la Carinzia e il dominio degli Arcivescovi di Salisburgo mise a contatto i friulani con la ricca produzione d’argento delle miniere carinziane presso Friesach.
Il nome di Friesacher, Frisacensi, nelle sue svariate deformazioni dialettali, dovute all’adattamento ai diversi idiomi, si estese alle imitazioni che di tali monete furono fatte nel dodicesimo secolo, anche a Trieste, Lubiana e altre città della Carniola e, in Friuli, a Latisana, Aquileia, Gorizia. Le imitazioni circolavano indifferentemente assieme agli originali, come testimoniano i ritrovamenti. I padroni delle miniere di Friesach, ovvero gli arcivescovi di Salisburgo e i vescovi di Gurk, protestarono energicamente presso la Corte Imperiale contro l’abuso che essi ritenevano fosse commesso alle loro spalle e le proteste ebbero il successo di una famosa sentenza emessa dalla Dieta Imperiale di Milano nel 1195, la quale proibiva la coniazione di monete di quel tipo da parte di terzi.
Gli interessi legati alla monetazione dovevano però essere importanti, poichè il patriarca di Aquileia, Pellegrino II, reagì immediatamente: il 25 novembre dello stesso anno chiese a Pietro, notaio imperiale a Udine, di copiare e iscrivere a rògito un atto, datato 1028, con il quale l’Imperatore avrebbe concesso il diritto di zecca addirittura già al patriarca Poppone, di buona memoria. Dell’atto originale nulla mai più si seppe. In compenso venne messo in circolazione qualche esemplare di denario aquileiese con l’effigie di Poppone, di cui uno o due sopravviveranno fino ai nostri giorni.


