La seguente collezione è stata esposta, in due versioni leggermente differenti, nell’agosto del 2018 e del 2019 a Tarvisio durante le mostre dedicate alla Grande Guerra. Quella del 2019 era intitolata “I 100 anni del trattato di Saint Germain. Un secolo della Val Canale all’Italia” e comprendeva tre conferenze sul tema, di cui una sugli aspetti prettamente economici e monetari. I testi erano accompagnati dalle monete e banconote originali dell’epoca.

Quando terminò nel novembre 1918, la guerra scoppiata nell’agosto 1914, che sarebbe dovuta durare alcune settimane o pochi mesi, aveva causato milioni e milioni di morti ed erano invece passati oltre quattro anni. Era stata la prima guerra industriale e di massa che coinvolse tutte le fasce della popolazione e dell’industria, consumò e distrusse una quantità fino ad allora inimmaginabile di materiali e di prodotti (non solo bellici ma anche vestiario, scarpe, carbone…) superiori in costo ai danni prodotti sugli effettivi teatri di battaglia.

Saltarono anche i collaudati schemi dell’economia e della finanza: fu sospesa la convertibilità dei metalli preziosi in ogni nazione, fu iniziata la stampa di enormi quantitativi di banconote non coperte di valore reale con episodi di grosse falsificazioni, anche statali, chiesti prestiti alle popolazioni, sospesi gli accordi doganali, il commercio mondiale era chiuso dai blocchi navali e i metodi per finanziare questa interminabile guerra furono l’incubo dei Ministri dell’Economia.

L’Europa ne uscì totalmente sconvolta perché fu combattuta da ambo gli schieramenti per la vittoria totale, una lotta sino alla morte e all’esaurimento totale dei contendenti. Un obiettivo assurdo e autolesionistico, il quale condusse alla rovina vinti e vincitori. Tutti combatterono sopra le loro reali possibilità, come l’economista inglese J.M.Keynes aveva ampiamente previsto.

Gli sconfitti furono trascinati nella rivoluzione, nessun governo rimase in piedi dal Reno sino al Mar del Giappone, mentre i vincitori conobbero la bancarotta e il dissanguamento di ogni energia. La vittoria fu conseguita solo perché dal 1917 gli Alleati poterono contare sulle risorse pressoché inesauribili dell’America (oltre ai suoi quasi 2 milioni di soldati inviati in Francia).

Francia e Italia erano sull’orlo del fallimento, le condizioni reali della Germania si scoprirono entro la fine del 1918 e già le prime caute stime delle riparazioni di guerra che avrebbe dovuto pagare la avrebbero messa in ginocchio per lunghi anni a venire. Di Austria, Ungheria, Turchia, Polonia e Russia non era nemmeno il caso di parlare di un bilancio.

Restavano solo molte industrie belliche di lunga, difficile ma soprattutto costosa conversione.

Provvedimenti economici

Nel 1914 tutti i governi adottarono provvedimenti monetari simili per tesaurizzare l’oro e l’argento, vietarne l’esportazione e sospenderne la convertibilità con la carta moneta. A differenza di quanto accade nelle guerre napoleoniche, le riserve auree di tutte le Banche di Stato aumentarono notevolmente, acquisendo il più possibile metalli preziosi: si faceva leva sui sentimenti patriottici per consegnare l’oro alle banche, si promettevano premi a guerra finita, si imponevano i pagamenti in oro presso gli uffici statali e le poste inglesi; a Berlino si regalava un secondo biglietto per il teatro a chi avesse pagato il primo con una moneta d’oro.

La mancata circolazione causò la sospensione del Gold Standard, il sistema di riferimento dell’oro come base degli scambi e quindi della quotazione di una valuta; era adottato in Russia, Inghilterra, Germania, Turchia, nei paesi della Scandinavia (seppur neutrali subirono anche loro il contraccolpo) e in parte anche dall’Austria.

Entrò in crisi e in pratica si sciolse anche l’Unione monetaria Latina alla quale appartenevano Francia, Italia, Belgio, Svizzera e Grecia; essa da oltre 50 anni aveva lo scopo di coniare monete dello stesso peso e valore per facilitare gli scambi commerciali tra le nazioni aderenti.

Le monete in argento con valore nominale 5 di Belgio, Francia e Italia. Erano chiamati Scudi.

L’espansione cartacea

Per risolvere le esigenze del circolante, le banconote, fino ad allora scarsamente diffuse, furono stampante in quantità enormi e con valori elevati, e dato che erano accettate malvolentieri, furono messe in circolazione “forzosa”, cioè obbligando così la gente ad accettarle.

La storia economica insegna: “quando il mezzo di pagamento sia invece disponibile in quantitativi maggiori di quelli occorrenti per il costo di merci e servizi prodotti, accadde che il suo valore diminuisca e di contro aumentino i prezzi di tutti gli stessi beni e servizi”.

Questa “dilatazione violenta” ebbe quindi come risultato che le carta moneta “drogarono” il sistema economico europeo e si deprezzavano di continuo sia rispetto ai prodotti sia rispetto all’oro. Si ebbe così il fenomeno dell’aggio (disaggio) della carta rispetto al metallo.

La fine del conflitto non risolse la situazione, anzi nacquero nuovi grossi problemi. Nel passato la moneta dello stato Vincitore si soprapponeva a quella del paese vinto; nel 1918 in cui i paesi Vincitori si annettevano gente stremata della propria nazione, non cercavano di procurare loro altri danni e quindi consentirono provvisoriamente corso legale alle monete dello stato sconfitto, salvo proporne un tasso di cambio e ritirarle col tempo dalla circolazione. La speranza segreta era quella di farle rifondere alle nazioni sconfitte dopo i trattati di pace del 1919 !!

Nell’autunno il Belgio venne liberato dagli Alleati; in esso erano presenti banconote tedesche per un ammontare stimato a circa SEI MILIARDI di marchi. Quando il suo governo rientrò in possesso del paese le rilevò ai suoi cittadini con un cambio di banconote belghe al tasso di 1,2 franchi per 1 marco, tasso superiore al valore allora corrente dei marchi-carta. Dopo un anno il franco belga valeva più di 3 marchi e le banconote tedesche erano ancora in possesso del Belgio. Altri DUE MILIARDI giacevano nelle banche parigine: furono rilevati alla pari dal governo francese nei territori liberati dai tedeschi e nell’Alsazia – Lorena, appena ri-acquisita.

L’Italia fissò un cambio per la corona austriaca, nelle regioni liberate, di “un pari di 40 centesimi di Lira di carta”. Il risultato fu che la moneta cartacea migrava da tutte le regioni dell’ex Impero verso le terre redente, per consentirne un cambio più alto; la limitazione per cui furono ammessi al cambio solo i biglietti stampati entro ottobre 1918 non ebbe molta efficacia.

Anche la Boemia appena divenuta indipendente, ebbe una situazione simile, poiché essendo grande esportatrice di merci verso l’Austria-Ungheria, si trovò esposta ad un’alluvione di biglietti di carta; ricorse però all’immediato stampigliamento (una timbratura speciale) di tutte le banconote presenti nel paese, dichiarando che solo esse potevano avere corso legale.

Banconota tedesca del 1910: prima della guerra era cambiabile con una moneta d’oro.

Non solo banconote: apparvero anche altri surrogati cartacei: buoni, cheques, cambiali

Dopo la vittoria di Caporetto, l’Austria emise in Friuli i “Buoni della Cassa Veneta dei Prestiti”: servivano per assicurare beni di consumo e vettovaglie d’ogni genere per l’esercito austro-tedesco a danno della popolazione, la quale era stata costretta ad accettare tali «buoni di cassa». I buoni si cambiavano a 1 corona austriaca per ogni 1,10 lire italiana. Si calcola che l’entità dei buoni emessi non possa essere inferiore ai 200 milioni di lire. Il governo italiano rimborsò in seguito il 60% del valore nominale delle banconote, pur non avendo copertura.

Per di più in Austria ed in Germania la comparsa dei «Notgeld», cioè di «biglietti di necessità» emessi da municipalità, province ed enti vari, segnalavano la perdita del controllo dello stato sull’emissione cartacea e il preludio della più grave inflazione monetaria del primo dopoguerra.

La tempesta monetaria

Nel 1913 un franco francese o una lira pesavano 4,5 grammi d’argento contro i 22,6 del dollaro; quindi valevano grammi 0,29 di oro, il marco grammi 0,36 di oro, il dollaro americano 1,5 grammi di oro mentre la sterlina, la regina indiscussa dell’economia, valeva grammi 7,32. Quindi si cambiavano 1,23 franchi per marco e 25 franchi per sterlina. Le 5 lire o i 5 franchi valevano circa 1 dollaro americano. Tutti questi cambi saltarono durante e soprattutto dopo la Guerra.

L’investimento migliore nel mercato dei cambi sarebbe risultato l’acquisto di valuta di stati neutrali. Monete come il franco svizzero o la corona svedese guadagnarono enorme valore sulle valute dei paesi belligeranti: 20% sulla sterlina, 30% sul franco, 40% sulla lira, 50% sul marco, quasi raddoppiarono contro Corona e Rublo e si apprezzarono addirittura sul dollaro nel 1918!

Le Germania nel giugno 1918 minacciò la Svizzera di ritirare tutti i suoi investimenti se non avesse avuto aiuto nel rallentare la discesa del marco, ottenendolo quindi supporto.

L’Italia per sostenere la Lira, premette gli Alleati nel giugno 1918 affinché comprassero le lire italiane circolanti all’estero; ciò serviva a rendere la valuta meno comune e più apprezzata.

Erano però operazioni effimere, col solo scopo di rimandare la resa dei conti. Il crollo della moneta e la sfiducia nel suo potere d’acquisto erano oramai generalizzate. In molte aree dalle Alpi alla Polonia al Caucaso, si osservò il ritorno al baratto: la gente preferiva scambiare merci per ricevere altri prodotti piuttosto di avere in cambio carta moneta sempre più deprezzata.

I costi della guerra

Il patrimonio aureo ufficiale indicato nel rendiconto della Reichsbank del 30 novembre 1918 ammontava a 115.417.900 sterline quindi 2.308.358.000 marchi. Era il risultato della vigorosa campagna per la consegna alla banca di monete e di oggetti d’oro di ogni genere. Inoltre vi era una somma di 1 milione di sterline in argento.

L’ammontare stimato del costo totale della guerra era di oltre VENTI MILIARDI di sterline.

Alla data dell’armistizio, l’Europa dipendeva dai rifornimenti alimentari degli Stati Uniti e finanziariamente la sua dipendenza era ancora più assoluta. I soli prestiti americani all’Europa furono superiori ai 1.500 milioni di sterline o 7.500 milioni di dollari e non sarebbero finiti assieme alla fine dell’ostilità: ora servivano i soldi per ricostruire. L’economia degli Stati Uniti, già forte, divenne preponderante a livello mondiale e il dollaro d’argento ne divenne il simbolo.

“Possiamo dunque concludere che l’espansione cartacea scompiglia la circolazione dei paesi belligeranti, vi disorienta la norma dei valori, vi precipita l’intero assetto monetario tra le incertezze e il marasma.” – A. Loria

Banconota tedesca da 1000 marchi, valore altissimo nel 1914.

Il sistema economico e monetario europeo era scosso sin dalle sue fondamenta e non sarebbe più ritornato ai livelli del 1914: la mancanza di credito divenne perenne, le merci che giravano facilmente senza vincoli doganali erano molto minori ed erano adesso tassate, la moneta cattiva in circolazione era troppa e scacciava la buona (quella metallica), che rimaneva nascosta in attesa di tempi migliori. Inoltre la chiusure delle Unioni Monetarie (oltre alla Latina anche quella Scandinava) complicò nuovamente il sistema dei cambi monetari.

Inoltre gli Alleati sembravano poco propensi a ricostruirlo, poiché per farlo avrebbero dovuto reintegrare a pieno titolo la Germania nel ciclo produttivo europeo (acciaio, carbone, ferrovie) oltre a non opprimerla con troppi danni di guerra da pagare; e reintegrare la Germania sembrava l’ultimo pensiero dei politici avevano giocato il tutto per tutto per sconfiggerla.

Il caso limite della Russia

Dopo la presa del potere nel novembre 1917 (la rivoluzione d’Ottobre), il bolscevichi di Vladimir Il’ic Lenin stipularono una pace punitiva con la Germania e l’Austria a Brest-Litovsk nel marzo 1918, con l’esercito tedesco che si trovava al confine settentrionale dell’Estonia, a pochi chilometri dalla capitale San Pietroburgo. Cedettero la Polonia, le repubbliche baltiche, la Russia Bianca e l’Ucraina (queste ultima recuperata in seguito dall’URSS dopo la guerra civile russa).

La situazione economica era ovviamente tragica: il paese era indebitato sino all’orlo, la valuta aveva perso quasi tutto il suo valore negli scambi con l’estero e le vecchie banconote in circolazione ritenute carta straccia; nemmeno una nuova carta moneta emessa dal 1917 col nome di Kerenski, quantità decupla delle precedenti  migliorò la situazione anzi cacciò del tutto oro e argento; la mancanza di possibilità di commercio estero evitò ulteriori deprezzamenti.

Il nuovo governo sovietico nazionalizzò le banche, stampò alcune nuove banconote ma di fatto l’anarchia monetaria era totale: le monete dello Zar e quelle straniere continuarono a circolare assieme e solo nel 1924 si riebbe una vera moneta nazionale, dopo esperimenti nel 1921/22.

Ancora più rilevante fu il fatto che i rivoluzionari ripudiarono i debiti che il governo zarista aveva contratto nel corso degli anni verso le potenze Occidentali. Questi erano di due diverse forme.

Primo, le enormi spese sostenute dal 1914 per le forniture belliche, aerei, armi ma soprattutto munizioni con un alto costo di trasporto: dopo la chiusura dei Dardanelli, a causa dell’entrata in guerra della Turchia nell’ottobre 1914, le merci francesi e inglesi dovevano essere consegnate o al Circolo Polare Artico o sulla costa russa dell’Oceano Pacifico e da lì spedite alle armate sul fronte dell’Europa Orientale. Si trattava di un controvalore di centinaia di milioni di sterline !

Secondo Londra e Parigi erano state dal 1880 le piazze da dove i soldi della borghesia venivano incanalati in investimenti in tutto il mondo; si trattava in Russia di investimenti di portafoglio di lungo termine, data la fame di denaro che il governo dello Zar aveva per proseguire la strada della modernizzazione.

Ma mentre l’Inghilterra investiva sterline dappertutto, e alla Russia prestò circa un controvalore di 3 MILIARDI di franchi (nemmeno il 5% del suo capitale mondiale), la Francia si espose pesantemente in Russia, soprattutto dopo la loro alleanza del 1894, e nel 1913 i capitali raggiunsero il valore  di 11 MILIARDI di franchi, oltre il 25% sul totale degli investimenti francesi all’estero. Di questa immensa cifra, circa l’80% era in titoli di stato dell’amministrazione zarista. Per i risparmiatori francesi fu quindi una perdita insostenibile.

Approfondimento

La travagliata storia dei 20 centesimi “esagono” – p.g.c dell’Associazione numismatici della Sardegna

MarcoLE CONSEGUENZE ECONOMICHE DELLA GRANDE GUERRA